Convegno Attila di Giuseppe Verdi
di Giacomo Fiorentino (5LB)
Martedì 27 novembre 2018, il Liceo Virgilio di Milano ha ospitato il convegno “Conversazione sull’Attila di Giuseppe Verdi in attesa della prima scaligera”. L’incontro, aperto al territorio, aveva lo scopo di introdurre all’opera che quest’anno aprirà la stagione scaligera. Sono intervenuti il prof. Giuseppe Zecchini dell’Università Cattolica di Milano sul tema Attila dalla realtà alla leggenda per raccontare la controversa figura storica del Re degli Unni, e la dott.ssa Bianca De Mario dell’Università Statale di Milano, sul tema Ombre, misteri, premonizioni. Per una (re)lettura dell’Attila di Giuseppe Verdi che ha introdotto all’ascolto dell’opera i presenti. Moderatore del convegno è stato il prof. Cesare Fertonani, storico e critico musicale, docente di Storia della musica moderna e contemporanea all’Università degli studi di Milano.
Il prof. Giuseppe Zecchini ha iniziato a far notare al pubblico come nell’immaginario occidentale che emerge nei film e persino nei cartoni animati ‘Attila’ e ‘Unno’ siano sinonimo di ferocia e forza distruttiva. Ha quindi spiegato come le vicende delle quali Attila fu protagonista siano state raccontate tra VI secolo e il XIII da storici di diversa provenienza e di convinzioni politiche e religiose differenti e come ciò abbia influito sulla ricezione della sua figura e della sua condotta politica. Per l’Occidente cristiano dal XIII secolo in poi la figura di Attila infatti evoca distruzione e violenza, egli è definito per la prima volta “Flagellum Dei” (Flagello di Dio, espressione che e testimoniata nelle fonti tra l’Italia Settentrionale e la Francia), fino ad essere rappresentato nel Cinquecento con gli attributi del diavolo: corna, naso aquilino, barba appuntita. Al contrario, il Re degli Unni, nei luoghi che a grandi linee corrispondono all’odierna Ungheria, sin dal XIII secolo è la figura del principe modello, leale, coraggioso, magnanimo; egli incarna le virtù cavalleresche, è il sovrano carismatico. L’Attila che comunemente è sinonimo di distruzione e violenza è inoltre frutto anche degli eventi che lo videro protagonista ai confini settentrionali dell’Impero Romano d’Occidente nell’ultima parte della sua vita. Durante la maggior parte del suo regno, infatti, intrattenne rapporti diplomatici con l’Impero d’Oriente, continuando la politica adottata dal suo prozio, Rua, che nel 422 riuscì a dare un’organizzazione al popolo Unno e a creare accordi di convivenza con l’Impero per mantenere un equilibrio tra quelli di essi che controllavano l’area a sud a nord del Danubio. Questo è il motivo per cui nelle fonti provenienti dall’Impero di Bizantino si ha della sua figura una interpretazione positiva. Attila cambiò questa linea politica improntata alla diplomazia attorno al 450, per passare ad una politica di conquista, in parte sollecitato dai principi germanici e in parte per ragioni legate alla rottura non consensuale di un accordo di matrimonio che prevedeva l’unione tra il re unno e Onoria, la figlia di Valentiniano II. La portata politica di tale unione rivestiva notevole importanza agli occhi di Attila poiché un eventuale figlio sarebbe stato a tutti gli effetti imperatore romano. L’idea che Attila potesse diventare padre del futuro imperatore romano venne appoggiata dall’Imperatore d’Oriente Teodosio IV, ma fortemente osteggiata dal generale dell’Impero d’Occidente Flavio Ezio. L’invasione della Gallia da parte del Re degli Unni avvenne quindi nel 451 con lo scopo di reclamare la dote della promessa sposa. Attila distrusse effettivamente Aquileia, ma subito dopo decise di ritirarsi dall’impresa non tanto o non solo per l’intervento di Papa Leone, che si presentò in verità nella veste di ambasciatore imperiale, quanto perché la carestia e la resistenza delle truppe organizzate da Ezio non gli avrebbero consentito avanzare oltre. Attila morì nel 453 e il suo Impero si dissolse poco dopo. Gli Unni tornarono a fare i mercenari.
La dott.ssa Bianca De Mario, ha iniziato il suo intervento mostrando un certo numero di recensioni che testimoniano di come inizialmente l’opera del giovane Giuseppe Verdi non fu apprezzata dalla critica. Quella che viene considerata come l’opera risorgimentale per eccellenza del compositore di Busseto, ricevette recensioni negative alla prima a Venezia, nel 1846, e anche all’estero, più precisamente a Londra dove, nel 1848, venne definita come la peggiore delle opere del compositore. Indubbiamente fu l’opera che, negli anni cruciali del Risorgimento, suscitò entusiasmi nei teatri e infiammò gli animi dei patrioti. Vi è rappresentato un popolo concorde contro un nemico invasore, che riesce nell’impresa di uccidere il tiranno, e ciò è rappresentato in scena. Bianca De Mario ha scelto di mostrare nell’opera ciò che di lì a un anno costituirà il centro della riflessione del compositore nel Macbeth, opera con la quale Verdi abbandonerà i soggetti che possono essere collegati alle imprese risorgimentale. L’opera Attila venne ispirata dal soggetto di una tragedia di Zacharias Werner, Attila Re degli Unni. Verdi rimase affascinato dalle figure dei protagonisti e chiese ad Andrea Maffei una traduzione per grandi linee del soggetto e poi affidò la stesura dei versi a Temistocle Solera, in seguito per la parte finale dell’opera a Francesco Maria Piave. La storia contrappone Attila a Ezio, due uomini forti e decisi a gestire il potere. Attila si innamora della prigioniera Odabella per il coraggio che dimostra e perché pensa che i suoi atti dimostrino lealtà nei suoi confronti, Odabella in verità è legata a Foresto, colui organizza la resistenza delle popolazioni scampate alla furia di Attila, e desidera solo portare a termine personalmente la sua vendetta. Attila verrà pugnalato da Odabella che così può vendicare la morte del padre avvenuta per mano dello stesso Attila. Il gesto di Odabella trova Ezio e Foresto complici. La figura di Attila che emerge nei versi e soprattutto grazie alla musica Giuseppe Verdi è molto sfaccettata. Nel Prologo, difatti, il personaggio appare come devastatore ma poi si rivela terrorizzato dal soprannaturale, in particolare nei quadri I e II dell’Atto I da cui la musicologa ha isolato un breve ascolto.