7 dicembre 2022,
Boris Godunov di Modest Petrovic Musorgskij
(articolo + video)
Cronaca di una serata speciale
di Susanna Sveva Bertani,Jolanda Carolina Bonassisa, Bruno Boni, Giulia Buono, Alberto Ciubini, Chiara della Cagnoletta, Alice Giorgia Ferrario, Vittoria Gabellotti, Marianna Gardere, Eleonora Gubian, Matteo Magnani, Sara Monsellato, Sofia Perrino, Celeste Pessina, Alessandra Plyackovic, Letizia Ronchetti, Carlotta Rossi.
Coordinamento didattico: prof.ssa Costanza Aterini
L’inaugurazione della stagione operistica del Teatro alla Scala si tiene ogni anno il 7 Dicembre, nel giorno di Sant’Ambrogio.
Si tratta di uno dei più importanti eventi in ambito musicale ed operistico a livello internazionale e richiama personalità di spicco dei più diversi settori, nonché autorità politiche italiane ed estere di rilievo. In questo giorno di festa dedicato al loro patrono i Milanesi, secondo una consolidata tradizione, danno il via ai preparativi natalizi, alberi, panettoni e mercatini inclusi, e attendono con trepidazione la vetrina culturale e mondana della “Prima”.
Quest’anno noi alunni di terza del Liceo Classico Virgilio abbiamo avuto l’onore di prendere parte a questo momento di cultura e mondanità, emozione che sicuramente rimarrà indelebile nei nostri ricordi. La serata ci ha riservato la piacevole sorpresa, prontamente immortalata in numerose foto, di vederci per la prima volta vestiti in modo elegante, cosa insolita per ragazzi abituati a frequentarsi in contesti informali.
[da sinistra: Alberto Ciubini,Celeste Pessina, Susanna Bertani, Eleonora Gubian, Alessandra Plyackovic, Jolanda Bonassisa, Marianna Gardere]
Per aprire la stagione operistica del Teatro alla Scala quest’anno è stato scelto il capolavoro del compositore russo Modest Petrovic Musorgskij “Boris Godunov” tratto dalla tragedia omonima di Aleksandr Puskin e ispirato alla storia dello stato russo di Nikolaj Karamzin.
Nel prepararci alla visione dell’opera sotto la guida delle nostre insegnanti, abbiamo appreso che tra revisioni del libretto e ri-orchestrazioni esistono ben undici differenti versioni di quest’opera e che quella messa in scena sarebbe stata la versione originaria del 1869, la più breve, in un prologo e tre atti articolati in sette quadri.
Le nostre perplessità di fronte alla scelta di un’opera russa in un momento storico così delicato sono state oggetto di un ampio dibattito in classe: abbiamo appreso con stupore che i Teatri sede di prestigiose Stagioni programmano con almeno tre anni di anticipo il proprio cartellone per assicurarsi migliori interpreti della scena internazionale.
Le parole dello stesso Meyer, sovrintendente del Teatro alla Scala, ci hanno aiutato inoltre a sottolineare l’importanza che Arte e Cultura restino immuni alle dinamiche socio-politiche: “Sono contro la caccia alle streghe, contro la cancellazione delle opere russe, non mi nascondo se leggo Puskin”.
In occasione della preparazione preliminare alla visione dell’opera abbiamo avuto l’opportunità di intervistare dal vivo una ex studentessa del nostro Liceo che ora fa l’assistente di palcoscenico al Teatro alla Scala e che stava lavorando all’allestimento dell’opera. Si è rivelata un’esperienza molto formativa e interessante e lei si è dimostrata disponibile ed aperta.
Il ritrovo era previsto per le 17 presso la Loggia dei Mercanti. Con un po’ di agitazione ci siamo avviati in direzione del Teatro dove i controlli di sicurezza impedivano a chiunque non avesse il biglietto di avvicinarsi. Lì ci siamo aggregati alla scia di signore in lungo e uomini in abiti scuri: in quel momento ci siamo sentiti come dei veri vip.
Prima di raggiungere i posti a noi assegnati in seconda galleria, abbiamo soddisfatto la nostra curiosità visitando lo scintillante foyer affollato da donne in abiti da favola dai colori sgargianti in contrasto con il nero degli smoking degli uomini e l’oro dei decori del Teatro.
Una volta sistemati ai nostri posti, tra scatti di foto e sguardi estasiati, abbiamo atteso l’arrivo delle personalità previste per il Palco Reale.
Tra gli ospiti più importanti c’era il Presidente Mattarella, omaggiato con un’ovazione al suo ingresso e accompagnato dalla figlia in un elegante vestito blu, Giorgia Meloni, in Armani nero, la presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, il presidente del Senato Ignazio La Russa e, naturalmente, il Sindaco di Milano Giuseppe Sala.
Il presidente Mattarella, sempre sorridente e con una mano sul cuore in segno di ringraziamento, ha accolto il lunghissimo applauso di circa cinque minuti al termine del quale, come di consuetudine, l’orchestra della Scala ha fatto risuonare l’inno nazionale seguito da l’inno alla Gioia. Questo per noi è stato un momento davvero toccante: mentre pieni di emozione cantavamo l’Inno d’Italia accompagnati dal vivo ci siamo sentiti onorati di essere seduti su quella poltroncina.
Successivamente il silenzio è calato in sala e lo spettacolo ha avuto inizio.
Il suono del fagotto che apre l’opera ci ha trasportato nella Russia del XVI secolo con quella immediata magia di cui avevamo più volte parlato in classe. Davanti ad una grande pergamena che funge da sipario arriva Pimen, primo personaggio sulla scena. La scelta del regista Kasper Holten di aprire con la figura del monaco cronachista ci pare sottolinei, come più volte da lui stesso dichiarato, l’importanza di testimoniare fedelmente la verità dei fatti, “Decisivo nell’opera è il monaco Pimen, che sta scrivendo la cronaca delle vicende russe. Incarna un richiamo alla verità e all’esigenza di testimoniarla. A suo modo è un giornalista in lotta contro un sistema che manipola le informazioni. Perciò la scena prevede un lungo foglio cartaceo, come di giornale, che diventa il fiume della Storia in cui s’incontrano passato e futuro.”
Per tutta la durata del prologo uomini vestiti in abiti moderni, seduti ai bordi della scena, strappano fogli da alcuni libri sotto gli occhi sconvolti di Pimen che si aggira tra di loro.
Il primo quadro del prologo vede protagonista il popolo senza l’ingresso in scena del futuro zar. Boris tuttavia, secondo una scelta che la regia utilizzerà molto in questo allestimento, osserva il popolo raccolto in preghiera dall’esterno e consegna un foglio al principe boiaro Suijski che a sua volta lo porge al segretario della Duma Scelkalov. Questo espediente del fuori scena permette al regista di rappresentare lo svolgersi di alcuni fatti in parallelo o di sottolineare la percezione della realtà nell’immaginario del protagonista.
Il popolo è disperato e sconvolto dall’ostinazione di Boris nel rifiutare la corona.
Quando entrano in scena i pellegrini vestiti di bianco, la musica si fa celestiale e dolce, il testo parla di speranza: “annientate il drago crudele, l’anarchia della Russia”
La sensazione che qualcosa sia cambiato nella mente ostinata dello zar e che la Russia finalmente sia prossima ad avere una guida cresce nella percezione del popolo confuso e disorientato. Questo cambio di prospettiva viene sottolineato dal regista con una scelta significativa di colori: il popolo, vestito di rosso al suo arrivo in scena, viene ora invitato a indossare abiti bianchi come a sottolineare l’arrivo di una nuova luce di speranza. Anche Mitjuch, l’uomo del popolo rimasto ferito a terra dopo gli scontri con le guardie, simbolo della violenza del potere, viene invitato ad indossare la lunga veste bianca ma si rifiuta ed esce zoppicando insanguinato tra la disapprovazione del popolo. Il tema iniziale del fagotto ricompare significativamente in questo momento.
Il secondo quadro del prologo si apre con l’apparizione di una porta nera al centro della pergamena che rappresenta il flusso della storia. Il popolo, vestito di bianco ai lati, osserva attento. Sulle note solenni e gravi dell’orchestra la porta si tinge di colpo d’oro trasformando significativamente la scena e indicando un importante cambiamento. Dopo un primo quadro caotico tutto appare ora ordinato, simmetrico e luminoso nell’accurata e precisa disposizione di oggetti e comparse sulla scena e nei colori oro e bianco che ne caratterizzano l’allestimento. La musica che accompagna questo momento solenne si svolge in un crescendo che culmina con un suono di autentiche campane che paiono provenire dal cielo e a cui il popolo estasiato e ancora incredulo rivolge gli occhi.
Il clamore dello scampanio, come abbiamo appreso nella fase di preparazione preliminare alla visione dell’opera, si inserisce all’interno della ricerca da parte di Musorgskij di un suono realistico che non si lasci andare a scelte puramente estetiche o frivole. Siamo qui in presenza di quella “modernità audace”, di quel “neo-espressionismo” di cui il direttore Chailly ha parlato in numerosi interventi sull’opera.
Il momento solenne della comparsa dello zar viene accompagnato dal coro che intona le note della “Slava” in un gioco di colori e luci che rende la figura dello zar ancora più maestosa e imponente catturando l’attenzione degli spettatori sul fascio di luce dorata che lo circonda. I due figli, Fedor e Ksenija, seguono Boris incoronato finalmente da zar e con il bastone e il globo crucigero, simboli del potere.
La musica, giunta al culmine del tripudio, si placa improvvisamente facendosi cupa non appena Boris intona le prime note, osservato dal fantasma dello zarevich assassinato che fa qui la sua prima comparsa sulla scena, insanguinato, fermo, silenzioso e serio.
E’ il colpo di grazia che ci ha lasciato con il fiato sospeso per tutta la durata della fine della scena, impietriti come lo zar che fermo si volta a guardarlo prima di sparire da quella porta magica da cui è entrato.
La voce grandiosa del basso Ildar Abdrazakov che interpreta Boris si rivela da subito profonda e potente, capace di portarci all’interno dei meandri della sua mente. Riusciamo a captare l’angoscia della sua inadeguatezza interiore mista al senso di colpa che tormenta il suo cuore, conscio delle azioni che lo hanno portato proprio lì, al momento della sua incoronazione, e delle responsabilità che ora gravano su di lui in quanto nuovo zar di Russia.
Sul chiudersi del quadro appare sulla scena Pimen che, con in mano stilo e inchiostro, osserva con sguardo perplesso la figura di Boris e dei figli. Davanti alla porta d’oro chiusa Pimen e lo zarevic restano fermi, dritti e immobili, girati di spalle.
Il primo atto si apre con il monaco Pimen che scrive sulla grande pergamena della storia, la stessa che il regista ha utilizzato nell’esordio. La melodia scelta da Musorgskij per accompagnare il gesto dello stilo sulla pergamena rende vivida l’azione della scrittura e chiarisce da subito l’importanza che il compositore attribuisce al compito del cronachista.
Pimen si sofferma sull’immagine del piccolo Dmitrij insanguinato che appare sulla pergamena, episodio su cui si concentrerà l’ultima fatica della sua scrittura e il dramma di tutta la vicenda. Da qui Pimen si sposta poi ad indicare in sequenza altre immagini che rappresentano eventi significativi della storia russa e queste, con una trovata di grande effetto del regista, si illuminano sotto le sue dita.
Al levarsi della grande pergamena fa la sua comparsa il novizio Grigorij, addormentato.
Qui l’ambientazione della cella del monastero è resa con pochi ma efficaci elementi e con una luce cupa, resa ancor più scura dallo spegnersi della lampada in concomitanza con le parole di Pimen stesso “la lampada si spegne…”. Grigorij si sveglia di colpo spaventato in seguito a un incubo, accompagnato da una melodia che trasmette angoscia.
Pimen, invitato dal novizio, ripercorre la narrazione di alcuni punti salienti della storia degli ultimi anni della Russia.
Mentre Pimen racconta, le immagini dei personaggi di cui narra compaiono sul pannello alle sue spalle e si tingono lentamente di rosso, come accade per Ivan il Terribile, a rappresentare il sangue da lui versato.
Il culmine viene raggiunto quando il sangue ricopre la figura del piccolo Dmitrij, in braccio alla madre piangente, assassinato a soli sette anni per volontà di Boris stesso. Durante la narrazione dell’assassinio la musica si fa concitata e carica di tensione fino a culminare nelle parole “lo zarevic giace sgozzato” e “il cadavere fremette” quando il color rosso sangue sull’immagine si fa piu intenso. In questi due momenti fa la prima comparsa il tema che il compositore lega alla figura del piccolo Dmitrij : grazie a questa breve melodia sarà possibile d’ora in poi evocare la presenza dello zarevich.
Questa stessa idea melodica, forse la più significativa e sottoposta a evoluzione nel corso di tutto il dramma, viene poco dopo modificata dal compositore quando, nella testa di Grigorij, si fa largo l’idea di vestire i panni dello zarevic assassinato e tornare a reclamare lo scettro a lui dovuto. Qui, nelle note dell’orchestra, lo sguardo di Grigorij si fa pensoso e scaltro e compare il cosiddetto ”tema del falso Dmitrij”. In seguito la stessa melodia tornerà più volte, frammentata e ripetuta quasi a sottolineare il flusso di pensieri che affollano la testa del falso pretendente.
In chiusura del quadro la scelta del regista, che aggiunge un importante dettaglio a quanto indicato dal libretto, ci appare significativa: Grigorij, a cui poco prima Pimen ha affidato il suo stilo raccomandandogli di farsi testimone di verità, ruba la pergamena del monaco e la nasconde sotto la sua giacca.
Il secondo quadro del primo atto si svolge in una taverna al confine con la Lituania dove si intrattengono Grigorij e due monaci. Qui il sentimento di tragedia e dramma si sposta verso un momento di maggior leggerezza, quasi di commedia, con il canto di Varlaam (basso) ubriaco.
Il regista per la taverna ha scelto di non creare un ambiente chiuso ma di lasciare la scena all’aperto, di fronte ad un imponente cancello che divide il palcoscenico in due parti e rappresenta simbolicamente il confine lituano verso cui Grigorij si sta dirigendo. L’atmosfera è cupa e tetra anche se la situazione e la musica sono allegre e scanzonate.
Il crescendo di tensione che si avverte nella musica e nella concitazione degli eventi culmina con una trovata del regista molto ad effetto: il falso Dmitrij, che in altre rappresentazioni si era visto semplicemente uscire di scena correndo, fugge scappando dal cancello e salendo verso l’alto, legato da corde invisibili, in direzione della scritta “Lietuva”. Questo colpo di scena di grande effetto è stato accolto tra stupore e incredulità del pubblico con un applauso fragoroso.
Con il secondo atto entriamo nel cuore dell’opera e in una dimensione del dramma diversa rispetto alla parte precedente. Secondo quanto dichiarato dal regista stesso infatti: “L’opera è divisa in due parti. Nella prima assistiamo a ciò che accade a Boris guardandolo dall’esterno. Nella seconda, che si svolge sette anni dopo, accediamo a una prospettiva interna osservando i fatti dentro la testa di Boris che precipita nella follia. In entrambe le sezioni c’è lo stesso set, ma usato in modo diverso”
Dalla fine del primo atto sono trascorsi sette anni: il sipario si apre e ci mostra Boris nella propria stanza con i figli Fedor e Ksenija. Sullo sfondo si vede una grande carta dell’impero russo.
Nella prima parte di questo atto, che non è diviso in quadri, assistiamo ad una dimensione diversa di Boris rispetto a quanto visto nella sua prima apparizione ufficiale nel Prologo. Nel dialogo con i due figli appare il contrasto, e al tempo stesso la fusione, tra la sacralità della figura istituzionale dello zar e la sua dimensione di padre e uomo, una dimensione fatta di voci maligne che lo tormentano nell’intimo e alimentano le sue insicurezze conducendolo sulla via della follia.
In questo atto notiamo inoltre una sempre più consistente presenza del fantasma del piccolo Dmitrij che il regista stesso in un’intervista definisce un “device psicologico”: “Nello spettacolo Godunov continua a vedere lo spettro dello Zareviç Dmitrij, erede al trono che lui fece uccidere. Si manifesterà come un ragazzo coperto di sangue. È la materializzazione onnipresente del suo senso di colpa e lo porta a impazzire. Il potere cieco e assoluto non è mai salutare per la mente“.
Boris è assalito da un senso di colpa alimentato dal fatto di sentirsi additato come il responsabile di numerosi delitti. Una “voce maligna” lo tormenta.
Il crescendo del delirio nella testa di Boris porta la sua follia al culmine nel corso del dialogo con Sujskij.
La presenza del falso pretendente di cui il boiardo riferisce tormenta Boris dilaniato tra il dubbio che il piccolo Dmitrij non sia stato realmente ucciso, come invece Sujskij garantisce, e il sollievo di liberarsi dell’accusa di essere un omicida. Sujskijj, intimato a narrare dell’assassinio del piccolo Dmitrij e godendo del tormento dello zar, rievoca perfidamente gli allucinanti particolari della morte dello zarevic fino al punto in cui Boris, sull’orlo della follia, lo scaccia: i suoi nervi si schiantano sull’immagine della trottola caduta dalle mani del piccolo morente, la sua ragione vacilla, gli pare di vedere il fantasma della vittima, finché si accascia urlando la propria innocenza. Alle parole “l’anima si consuma” Boris guarda la propria immagine riflessa in uno specchio mentre il fantasma dello zarevic gioca con la trottola. Al culmine del pathos, lo zar mentre canta “negli occhi il bambino insanguinato”, straccia la carta della Russia presente sullo sfondo e svela, dietro a essa, la presenza del fantasma di Dmitrij che lo guarda fisso e immobile. La pergamena che rappresenta il fiume della storia appare spezzata alle sue spalle, e così sarà fino alla conclusione dell’opera. La percezione di essere nella mente di Boris si fa sempre più viva.
In questo atto l’interpretazione del basso Ildar Abdrazakov ci è parsa davvero magistrale: grazie al suo timbro profondo e alla sua grande capacità espressiva il dramma e il tormento psicologico del protagonista risultano di forte impatto. Il secondo atto si conclude con un sentito applauso di tutto il pubblico.
La scelta del regista Holten in apertura del terzo atto ci è parsa molto efficace e di grande impatto emotivo: il popolo disperato posa sul proscenio i cadaveri di 34 bambini, angosciosa premonizione di fantasmi futuri e di quello che sarà l’esito del fiume di violenza che ha travolto il regno dello zar. Capiamo subito di trovarci intrappolati nel vortice di follia e delirio nella testa di Boris dipinto qui con i tratti di un crudele Erode: lo zar osserva afflitto e sgomento, seduto sul suo letto che ci appare sempre più chiaramente come la materializzazione viva della sua coscienza sulla scena. Anche i figli Fedor e Ksenija, con uno strappo temporale premonitore ci vengono svelati in vesti insanguinate sotto la coperta che li avvolge sul medesimo letto mentre Boris, disperato, si getta su di loro.
Con un cambio di prospettiva inaspettato e originale i cadaveri dei bambini morti, portati precedentemente sulla scena, si alzano in piedi per assumere il ruolo dei monelli che circondano il Folle in Cristo. Anche quest’ultimo, in contrasto con le indicazioni del libretto, non viene rappresentato con in mano la copeca e con il berretto di ferro, ma con un bambolotto insanguinato che abbraccia e protende al cielo durante il suo canto accorato alla luna. In tutta questa scena domina la presenza del fantasma dello zarevic insanguinato che si aggira tra i monelli con indosso la corona e lo sguardo afflitto tra la nostalgia della sua infanzia rubata e la preveggenza di un destino di sventura per la Russia. E’ a lui, invece che al Folle come indicato dal libretto, che i monelli rivolgono il loro sbeffeggio “testa di ferro” e poco dopo, il significativo monito “togliti il casco, è pesante”.
I momenti corali in cui il popolo si rivolge supplichevole allo zar tendendo le mani al cielo e chiedendo il pane sono di forte drammaticità e la musica di Musorgskij ci ha profondamente colpito per la sua intensità. Lo zar si sente non accettato dal suo popolo perché non riesce a soddisfarne le richieste. In questa circostanza ricorre nuovamente il tema del falso Dimitrij a sottolineare ancora una volta i rimandi interni all’opera e le angosce che popolano la testa dello zar.
La figura di Boris è ormai del tutto centrale: la sua dimensione interiore, completamente distrutta dal rimorso delle morti causate, diventa vera e propria protagonista assoluta del dramma. Schiacciato dal giudizio popolare, di cui il Folle è espressione diretta e innocente, all’esclamazione “Erode” si accascia sopraffatto sul letto mentre l’Innocente intona la sua toccante canzone: “Sgorgate, sgorgate amare lacrime… piangi, piangi, gente russa affamata!”.
Nel II quadro del III atto la Duma dei boiardi è riunita in seduta straordinaria: in un’atmosfera tesa, sottolineata da una musica solenne, si discute come punire l’impostore che usurpa il nome di zar. Tutto questo avviene sotto lo sguardo sgomento di Boris che continua a giacere sul letto in scena.
Secondo un espediente già impiegato dal regista, fuori scena assistiamo ad un incontro tra Sujiski e Grigorij che svela il sostegno del principe boiardo all’usurpatore. Significativamente Suiskij si impossessa della pergamena che Grigorij ha con sé dopo averla trafugata a Pimen nel I atto: veniamo in questo modo a conoscenza del sotteso accordo tra i due in seguito al quale la storia sarà falsata e il racconto dell’assassinio dello zarevic occultato per far spazio alle rivendicazioni del falso pretendente. Ancora una volta il regista sottolinea come la storia possa essere pericolosamente sottoposta ad una riscrittura ad opera di chi detiene il potere.
Sujiski si unisce alla Duma e riferisce con perversa gioia come Boris sia torturato dalla visione dell’ucciso zarevic. Nello svolgersi di questo racconto la musica si fa sempre più concitata in un crescendo di pathos accompagnato da un crescendo della disperazione dello zar che osserva la scena continuando a scacciare il fantasma del piccolo Dmitrij.
A questo punto Sujiski introduce Pimen che con diabolica premeditazione aveva convocato con il pretesto di rivelare un grande segreto allo zar. Il racconto del vecchio monaco sulla miracolosa guarigione di un ammalato, avvenuta presso la tomba dello zarevic Dimitrij a Uglic, porta Ia sofferenza di Boris oltre misura: l’angoscia lo invade nuovamente, sente la vita mancargli. Nell’abbracciare i figli e dar loro le ultime raccomandazioni di padre morente, Boris invoca il perdono di Dio e vede comparire i fantasmi dei due figli nuovamente in vesti insanguinate. Qui Abdrazakov canta in modo molto toccante, steso a terra mentre tende le mani al cielo in segno di supplica. Rialzatosi, nell’atto disperato e ultimo di invocare il Signore, viene pugnalato alle spalle da uomini vestiti di bianco. Questa è una interpretazione del regista che decide di concretizzare sulla scena l’atto dell’omicidio a testimoniare come la morte di Boris, attribuita dal libretto ad un attacco di cuore, sia da imputarsi ad un gioco di potere. Gli uomini in camice bianco infatti erano già più volte comparsi a fianco di Sujiski.
Dopo una lunga e intensa pausa Grigorij entra in scena guardando lo zarevic con un sorriso perfido e compiaciuto mentre il Coro fuori scena canta la morte di Boris.
Così, con tredici minuti di applausi e fiori sul palco, si chiude il sipario sull’opera”’Boris Godunov” di Modest Musorgskij, che ha aperto la stagione 2023 del Teatro alla Scala. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e tutti gli ospiti del Palco Reale si alzano in piedi per tributare un applauso al maestro Riccardo Chailly che ha diretto l’opera e a tutto lo splendido cast. L’ovazione va anche alla fantastica regia di Kasper Holten, a Es Devlin per le scenografie, a Ida Marie Ellekilde per i costumi e a tutte le maestranze che hanno per mesi lavorato a questo splendido allestimento.
La nostra emozione e l’orgoglio di poter essere stati parte di questo magnifico spettacolo si riversano in un caldissimo applauso anche da parte nostra.