La città

La zona della nostra scuola, da Porta Venezia ea Città studi. Una storia molto particolare, e non ancora finita…:

I luoghi del nostro Liceo. Da Porta Venezia a Città studi: il destino di un quartiere sempre caratterizzato da una caratteristica attività economica

Un lavoro collettivo della Quarta LB, seguito alla frequentazione di un seminario presso «l’Officina dello Storico» (https://www.officinadellostorico.it/)  

 

INTRODUZIONE

L’evoluzione di una città è spesso accompagnata da grandi trasformazioni e riqualificazioni di quartieri, un tempo occupati da campi o da insediamenti industriali, riconvertiti grazie all’inserimento di importanti strutture pubbliche.

La nostra Città non sfugge a questa regola: così per stare ai giorni nostri il quartiere Isola, un tempo quartiere operaio ed industriale, è diventato una delle zone più apprezzate e visitate di Milano, grazie a grandi interventi di ammodernamento della Stazione Garibaldi e alla creazione di una grande e nuova piazza (Piazza Gae Aulenti) che può accogliere molti visitatori.

Sulla base di queste considerazioni, ci siamo prefissi di valutare i mutamenti subiti nel tempo dalla zona della città in cui si trovano i due plessi dell’edificio scolastico che frequentiamo, il Liceo Virgilio.  L’occasione è stata data da un lavoro di ricerca effettuato presso l’Archivio Golgi Redaelli, che ci ha messo a disposizione una serie di mappe del quartiere dalle quali sono risultate delle informazioni per noi sorprendenti.

Potevamo ovviamente immaginare come, nel corso dei secoli, questa zona della città presentasse un aspetto totalmente differente. Tanto più che, trovandosi fuori dalle mura, sapevamo che doveva presentarsi come una zona prevalentemente rurale, non dissimile da tante attuali territori periferici, in cui dominano le classiche cascine della Valle Padana.

Ciò che ha costituito per noi una novità, è stato constatare che già dal XVII secolo questo quartiere della città venne destinato a un ben preciso ambito economico, quindi caratterizzato dal punto di vista delle attività in esso svolte, della popolazione che prevalentemente lo abitava, della concentrazione di particolari servizi.

Ancora oggi del resto il nome del quartiere, «Città studi», rimanda a una ben precisa caratterizzazione, che è nota a tutti gli abitanti di Milano. E il nome stesso, ci lascia immaginare il tipo di popolazione, di attività economiche maggiormente diffuse, in continuità con questi servizi.

Ma com’era il quartiere prima di diventare «Città studi»? E perché, proprio nel momento in cui scriviamo, è in corso una vivace polemica pubblica su un nuovo cambio di destinazione del quartiere, che ha messo in allerta i suoi abitanti?

E’ questo il senso del nostro piccolo lavoro, diviso in quattro parti, ciascuna svolta da un particolare gruppo della nostra classe.

Il nostro lavoro si è basato sulle fonti d’archivio che ci sono state messe a disposizione, sulle letture disponibili, sulla consultazione di documenti pubblici e di personalità autorevoli, nonché su una visita ai luoghi, per contrapporre fotografie del passato a quelle attuali.

Le foto d’epoca sono di provenienza dell’Archivio Golgio-Redaelli, che ci ha ospitato lo scorso anno per un’attività di formazione e d’approfondimento.

Gli studenti della Quarta LB

 

PARTE PRIMA

RAPPORTO TRA TERRITORIO E DESTINAZIONE ECONOMICA DEL QUARTIERE

(Beatrice, Ilaria, Camilla, Benedetta, Lucrezia – 4LB)

 

 

 (Archivio Golgi Redaelli)

 

Nella prima parte del nostro lavoro ci soffermeremo sulle caratteristiche del quartiere della nostra zona quando ancora occupava uno spazio esterno alle mura della città, e si presentava con un aspetto completamente rurale. In effetti fa una strana impressione, girando oggi per le strade di un quartiere in cui molti edifici fanno riferimento a uno stile architettonico novecentesco, e dedicato espressamente all’attività di studio e di ricerche delle facoltà scientifiche, pensare a un luogo che ricorda l’aperta campagna, Ma soprattutto, quello che ci ha sorpreso visionando le mappe contenute presso l’Archivio Golgi-Redaelli, è stato scoprire che le attuali vie che percorriamo per recarci a scuola erano attraversate da numerosi canali artificiali. La presenza d’acqua era forse la caratteristica prima del quartiere, in virtù dell’attività economica cui venne destinato. Sì, perché già allora come oggi, la zona che conosciamo come «Città studi» aveva già una sua caratteristica specifica sul piano economico. Certo molto diversa da quella attuale.

 

 (Archivio Golgio redaelli)

 

 

Il nostro punto di avvio storico è il 1636, quando un tale Giacomo Robbio nominò come proprio erede il Luogo Pio della Carità di Milano, ovvero un’istituzione fondata il 1° marzo 1442. Si trattava di un ente caritatevole, ovvero che organizzava l’assistenza ai più poveri e bisognosi, che all’epoca erano non solo numerosi, ma privi di qualsiasi servizio d’assistenza. Il Luogo Pio della carità organizzava la distribuzione settimanale di pani di frumento e altri generi di prima necessità a questi sfortunati. In virtù del lascito di giacomo robbio l’istituzione entrò in possesso del fondo delle Cascine doppie, (vedi foto in alto) ubicato nei Corpi santi, ovvero quei territori che si trovavano attorno alla città di Milano, e che oggi sono parte integrante della città, i quali venivano considerati una sorta di Comune adiacente.

Un’ulteriore, significativa acquisizione da parte del Luogo Pio della Carità avvenne nel  1804, quando vennero acquistate le acque dei beni Carli, famiglia che era proprietaria di uno dei fondi. Questo fatto fu decisivo per decidere della destinazione d’uso dell’intero quartiere, ovvero la possibilità di irrigare l’intera proprietà, attraverso la costruzione di numerosi canali artificiali. L’obiettivo era quello di di trasformare tutti i prati in marcite. La marcite è una particolare tecnica di coltura, caratteristica in particolare della Pianura Padana. Essa venne per la prima volta impiantata per la prima volta nelle grange, ossia grandi aziende agricole di proprietà delle abbazie. La tecnica della marcite utilizzava un particolare tipo di irrigazione, detta «a gravità»; essa permetteva di utilizzare l’acqua proveniente dalle risorgive anche nella stagione invernale. 

 

 

Le cascine doppie nell’Ottocento. Si noti la numerose irrigazione che caratterizzava la zona. (Archivio Golgi-redaelli)

 

Un ulteriore e rilevante ampliamento dei possedimenti dei Luoghi Pii Elemosinieri a est della strada di Loreto ebbe luogo nel 1847, con l’acquisto della possessione di Pulice, un podere ceduto a Milano costituito da caseggiati. Lo scopo era principalmente di utilizzare le acque defluenti da altre proprietà in quanto, nonostante le avanzate tecniche che abbiamo appena descritto, l’approvvigionamento idrico continuava a essere un problema ricorrente per le Cascine Doppie.

Anni dopo i poderi Cascine Doppie, Cicale e Pulice assegnarono un affitto ai fratelli Giuseppe e Luigi Raj. Al termine dell’annata agraria del 1907 l’affetto venne interrotto e gran parte del podere Cascine Doppie e Pulice di vendita al Comune di Milano.

Queste vicende proprietarie, di cui approfittò un ente dedito alle attività di carità, spiegano il motivo per cui questa zona della città venne espressamente dedicata all’attività dei “lavandai”. Si trattava di un’attività economica allora di particolare importanza; necessaria per ogni abitazione, essa era evidentemente difficoltosa per le condizioni ambientali e per le difficoltà tecniche che presentava. Lavare a mano stoffe di grandi dimensioni, per assicurare un corredo adeguato dal punto di vista igienico, avere la capacità tecnica di farlo in modo efficiente, poter provvedere alla pulizia ma anche all’asciugatura, era allora un lavoro impegnativo, che necessitava di spazi adeguati.

I “lavandai” passavano un giorno della settimana nella case dei loro clienti, anche e soprattutto le famiglie più ricche, portavano il materiale ritirato nei loro laboratori, e la settimana successiva lo riconsegnavano, ritirandone altro. È chiaro il motivo per cui una zona della città venne espressamente dedicata a tale attività; essa poteva concentrarsi solo laddove esistevano concentrazioni d’acqua adeguate, in base alla trasformazioni di cui sopra, queste si ebbero soprattutto nell’attuale zone di Città-studi.

I Lavandai si vedevano affittati dei luoghi specifici all’interno delle cascine, non proprio con contratti economicamente vantaggiosi, e lì svolgevano, insieme al loro intero nucleo familiare, che ereditava l’attività generazione dopo generazione, il loro lavoro.

Furono due ingegneri, Giuseppe Riboni e Giuseppe Chiodi, a pensare di costruire sopra gli appezzamenti una schiera di piccoli edifici a uso dei lavandai, i quali, secondo le loro intenzioni, ne sarebbero poi potuti divenire proprietari, in modo da liberarsi dall’incertezza degli affitti e della precarietà. In realtà i lavandai si vedevano affittati dei luoghi specifici all’interno delle cascine, non proprio con contratti economicamente vantaggiosi, e lì svolgevano, insieme al loro intero nucleo familiare, che ereditava l’attività generazione dopo generazione, il loro lavoro. Il progetto venne accolito favorevolmente sia da parte dei beneficiari sia della stessa Congregazione di Carità, la quale, ancor prima di giungere alla vendita, permise che i due ingegneri ne incominciassero la costruzione. Si trattava di piccole case simmetriche che sorgevano allineate lungo una nuova strada, che si dipartiva dalla via di Nino Bixio denominata via dei Lavandai, l’attuale via Balzaretti.                                                                        Grazie al successo dell’operazione e delle crescenti adesioni, con il passare del tempo si prolungò la nuova e spaziosa via dei Lavandai, con nuove e continue costruzioni, sono all’incontro con la nuova strada della circonvallazione. A capo dell’impresa, tuttavia, non erano più gli ingegneri Chiodi e Riboni, ma la società anonima per la costruzione di lavanderie e case in liquidazione, la società mutua cooperativa proprietari lavandai di Milano e singoli proprietari lavandai di professione.

 

      Come si presentava l’attuale via Nino Bixio (Archivio Golgio Redaelli)

 

  Via Nino Bixio oggi

 

Il villaggio dei Lavandai presso cascine Doppie come si presentava all’inizio del secolo (Archivio Goglio Redaelli)

 

Il quartiere guadagnò così una sua ben precisa identità, e fu il centro di un’attività economica molto importante per l’intero Regno, come si evince da una supplica dell’epoca che sarà esaminata in una parte successiva del nostro lavoro.

Questa caratterizzazione economica del quartiere venne meno con la fine del XIX secolo. Il progresso tecnico, la crescente urbanizzazione, ovvero l’estendersi della città ben oltre le mura storiche, non potevano consentire a una parte così adiacente al centro (immediatamente successiva la Porta Venezia) di preservare una caratteristica rurale. La pratica dei lavandai venne decentrata fuori città, poiché divenne meno necessaria, si aggiunse inoltre la crescita di popolazione, di industrie, e il costante bisogno di istruire la popolazione e di avere un personale tecnico.

La massima parte di quel che rimaneva del podere di Cascine Doppie e Pulice venne venduta dalla Congregazione di Carità al Comune di Milano, per essere adibita alla costruzione di un nuovo quartiere provveduto di opportune vie, piazze e servito di canalizzazioni di fognatura.

Tutto ciò portava a espandere la città e dedicare alcuni suoi quartieri proprio a questo sviluppo moderno. La città si estendeva e la pratica arcaica dei lavandai non poteva rimanere ad occupare un luogo strategico. Nel 1913 lo Stato, il Comune e la Camera di Commercio di Milano avevano stipulato una convenzione, con la quale erano stati disposti il decentramento in un unico luogo degli istituti d’istruzione superiore della città. La scelta dell’ubicazione cadde proprio sull’area delle Cascine Doppie, dove oggi sorge la Città degli Studi. I lavori ripresero dopo la conclusione della prima guerra mondiale e nel 1927 furono portati a termine i primi edifici. Il 22 dicembre di quell’anno poté pertanto essere inaugurata la nuova sede del Politecnico.

Le restanti pertiche appartenenti alla Congregazione di Carità vennero utilizzate, secondo la decisione del commissario dell’ ECA Ezio Vigorelli, come esperimento di ricostruzione di carattere sociale dopo la guerra. Infatti la carenza di alloggi economici era uno dei problemi più assillanti per la Milano di quei giorni e in particolare per i suoi cittadini meno abbienti. Riuscì a garantire un’ottima vivibilità degli ambienti realizzando un ampio complesso abitativo, che diede alloggio a 92 famiglie.

 

           Città Studi  nel 1930 (Archivio Golgio Redaelli)

 

 

L’area di Porta Venezia, non lontana da Palazzo Castiglioni, è quella più intensamente Liberty della città. Tra le vie Malpighi, Sirtori e Frisi, fino a viale Piave e poco oltre, brulicano ferri intrecciati, freghi floreali, decorazioni a nastro e maioliche colorate.

 

                Casa Galimberti, Via Malpighi

 

 

Le trasformazioni che abbiamo illustrato in questa parte del nostro lavoro dimostrano come, alla fine dell’Ottocento, Milano sia diventata una città di grande sviluppo demografico e in forte trasformazione dal punto di vista economico. Buona parte della popolazione cittadina è ormai costituita da una borghesia ricca, la cui esigenza è quella di potersi affermare socialmente e allo stesso tempo ad alimentare il suo già acquisito benessere con fabbriche e stabilimenti industriali al passo con il progresso.

Città-studi non poteva rimanere allora il quartiere dei “lavandai”.

 

PARTE SECONDA

UNA ZONA IN CONTINUA RIQUALIFICAZIONE

(Chiara, Alessia, Bianca – 4LB)

In questa parte del lavoro renderemo conto delle trasformazioni che, in epoca novecentesca, hanno fatto assumere alla zona in cui si trovano le due sedi del nostro Liceo l’assetto attuale.

Il Liceo Virgilio di Milano è interno al territorio cittadino compreso tra le attuali Piazza Ascoli, Via Nino Bixio e Piazza Novelli, che ha subito negli anni del Fascismo  (in particolare negli anni Trenta, i cosiddetti Anni del Consenso) un grande rinnovamento attraverso l’inserimento di strutture pubbliche che, grazie alla presenza di studenti (liceali ed universitari) e militari (quelli della Caserma Italo Balbo) hanno dato nuova vita ad un zona un tempo un po’ malfamata.

La foto (ripresa da Piazza Maria Adelaide di Savoia avendo alle spalle l’attuale Via Nino Bixio) riproduce la situazione urbanistica della zona: al centro della foto spicca al c.d. “Ponte del Diavolo” (indicato dalla freccia), un piccolo ponte ferroviario al di sotto del quale era ritenuto pericoloso, per via della scarsa illuminazione e della scarsa frequentazione, passare dopo il calar del sole.

 

Direzione Stazione Centrale                    Direzione piazza Novelli

                                                                                                            La zona dell’attuale Piazza Ascoli (anni 1930-1931)   (At

 

Per orientarsi in modo ancora più chiaro è sufficiente guardare la piantina sotto riprodotta:

 

 

Allo scopo di riqualificare e rendere più sicura e vivibile la zona vennero realizzati importanti lavori, partendo in primo luogo dall’abbattimento del terrapieno della ferrovia e, quindi, del Ponte del Diavolo.

 

                                                                     Figura 3 – La nuova situazione urbanistica dopo l’abbattimento del terrapieno ferroviario

 

La zona fu poi oggetto di importanti ed ulteriori modifiche: una volta sparita la linea ferroviaria e il relativo ponte si è proceduto ad assegnare una nuova toponomastica alle vie ed alle piazze.

Ecco come appare organizzata oggi la stessa zona di Figura 2:

                                                                                                    Figura 4 – Attuale situazione urbanistica della zona

Così:

  • Piazza Modena (in fig. 2 cerchiata in blu scuro) è diventata Piazza Novelli, anche se fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale si chiamava Piazza Italo Balbo, in onore del quadrumviro del Fascismo, eroe delle trasvolate transatlantiche degli anni ‘30 e ministro della Regia Aeronautica durante il Ventennio fascista;
  • Via Nino Bixio si ferma in Piazza Maria Adelaide di Savoia (mentre un tempo proseguiva oltre il Ponte dl Diavolo); il tratto dalla Piazza fino alla nuova Piazza Graziadio Isaia Ascoli prende il nome di Via degli Scipioni (una delle più illustri famiglie romane risalenti al III secolo avanti Cristo);
  • Piazza Tonoli prende il nome di Piazza Graziadio Isaia Ascoli, noto linguista vissuto a cavallo tra il 1800 ed il 1900 e non in onore della città marchigiana.

Questa porzione di città ha subito poi importanti interventi architettonici che l’hanno fatta diventare una zona tranquilla con aiuole, panchine, studenti e militari in cui piacevole passeggiare e risposare sotto gli alberi.

Infatti, negli anni tra il 1932 ed il 1943 (quindi anche durante il conflitto bellico) vennero realizzate in stile razionalista (tipico dell’architettura fascista):

  • la caserma dell’aeronautica di Piazza Novelli (oggi sede del Comando della 1^ Regione Aerea), a diacente alla sede Centrale del nostro Liceo, su progetto dell’architetto Luigi Lorenzo Secchi ([1]), utilizzando materiali prevalentemente nazionali (in linea con le politiche di autarchia volute da Mussolini) e con riduzione al minimo dell’uso di materiali metallici (per non utilizzare metalli preziosi da importare e da destinare a supporto dell’industria bellica). La struttura è composta da quattro edifici destinati ad ospitare il Comando, gli ufficiali e le loro famiglie ed i militari di truppa;

 

         Figura 5 – La sede del Comando Aeronautico

 

      Figura 6 La sede oggi

 

 

ed infine, la sede dell’Istituto Magistrale Virgilio (oggi Liceo Virgilio) realizzato (tra il 1933 ed il 1936) per dare nuovo spazio al crescente numero di studenti

                  Figura 7 – La facciata del Liceo virgilio

 

     Figura 8 – La sede del Liceo Virgilio vista dall’alto per enfatizzare la forma trapezioidale del cortile

 

Il progetto dell’architetto Renzo Gerla ([2]) prevede un edificio con quaranta aule per l’insegnamento comune, aule diverse per le materie scientifiche e laboratori per sperimentazioni; accanto ai normali servizi sono poi illustrati un museo, alcune sale per i professori, l’Aula Magna, una sala per proiezioni e la palestra.

Purtroppo l’approssimarsi della guerra induce l’architetto munire l’edificio, nel piano interrato, di uno spazio destinato a rifugio antiaereo per ospitare 30 persone.

Le lezioni dell’Istituto iniziano con l’anno scolastico 1935, poco dopo cioè l’ultimazione dei lavori e lo sbancamento del terrapieno della ferrovia.

Inizia così la nuova vita della zona.

Al di là delle drammatiche vicende che portarono al crollo del regime fascista e all’instaurazione della Repubblica italiana, quest’assetto del quartiere, caratterizzato dalla presenza di edifici finalizzati allo studio universitario e con importanti caserme, è rimasto pressoché Immutato sino a oggi. È sulla base di tali caratteristiche che si spiegano le attuali polemiche relative a un eventuale cambio d’uso, a seguito de trasferimento nella zona dell’ex EXPO di alcune facoltà universitarie, da decenni con sede nel nostro quartiere.

[1]Tra le sue opere vanno segnalati edifici di Milano dall’importante funzione sociale come la Casa del Mutilato di Via Freguglia o la Piscina Romano o quella Cozzi.

[2]Altro architetto coinvolto in numerose opere di miglioramento di Milano nel corso degli anni a cavallo tra le due Guerre: a lui, ad esempio, si deve la Fontana delle Quattro Stagioni di Piazza Giulio Cerare (posta prima dell’ingresso principale della vecchia Fiera Campionaria) ed il restauro del Giardino della Guastalla.

 

Parte terza

LA POLEMICA SUL TRASFERIMENTO DI CITTÀ STUDI: UNA STORIA VECCHIA?

 

Elisa, Filippo, Linda  4LB

 

La finalità di questa parte del lavoro, dedicato alle trasformazioni conosciute dal quartiere in cui si trovano le due sedi del nostro Liceo, è quello di esaminare, da un doppio punto di vista,  come la zona della nostra scuola sia sempre stata il fulcro di una particolare attività economica della città di Milano, che condizionava le condizioni di vita della popolazione. La zona di Città Studi, dall’inizio del secolo scorso, è sempre stata la residenza della conoscenza, della ricerca e della vita universitaria della città.

Quest’anno è stato pianificato dal Comune il trasferimento dall’ateneo a Rho, nell’ormai inutilizzata Arexpo. La nostra intenzione è quella, a partire dalle polemiche pubbliche che sono sorte a partire da questa decisione, di proporre un confronto con una polemica, in parte simile, che si registra alla fine del XVIII secolo. E valutare come le motivazioni che sono state proposte per contestare il provvedimento facciano proprio riferimento alle caratteristiche peculiari che il quartiere è venuto ad assumere nei seocli.

 

 

Le ragioni delle proteste di alcuni Comitati cittadini si sono concentrate su due motivazioni: l’ipotesi che la nuova città studi non è che una soluzione per ricoprire i debiti lasciati da Expo, per cui non vi sono state offerte da parte di acquirenti. E il fatto che tale decisione sia stata presa senza consultare in modo significativo gli abitanti del quartiere, molti gestori di attività che potrebbero venire compromesse dalle recenti decisioni. Sono sorti, per contrapporsi a questa modalità di decisione, diversi coordinamenti   quali “Che ne sarà di Città Studi”, “Salviamo Città Studi” e “Progetto Lambrate”, costituiti dalle più diverse figure sociali del quartiere.

 

Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, attraverso una lettera resa pubblica,  dal nuovo progetto, tra cui l’espansione e la riqualificazione delle nuove strutture tramite il riutilizzo delle ex industrie abbandonate a Rho. A queste motivazioni rispondono in maniera differente, mostrando consenso o dissenso, diverse figure del mondo universitario.

Da dove sorgono le motivazioni di chi vede con preoccupazione questa scelta delle autorità comunali? L’abbandono di alcune facoltà universitarie di uno dei quartieri più ricchi e vitali della città, metterebbe a rischio –come abbiamo già ricordato- molte attività legate proprio alla presenza storica di studenti e delle facoltà universitarie. Inoltre, secondo alcuni, l’iniziativa non gioverebbe alle attività di didattica e di ricerca che l’università ha sempre avuto con gli Istituti Besta e dei Tumori.

 

Per tali ragioni, i cittadini preferirebbero che le ingenti risorse fossero utilizzate per un piano di riqualificazione dell’antica area universitaria, invece che essere utilizzate per un trasferimento in un luogo poco pratico e accessibile come quello dell’Arexpo.

 

Proviamo adesso a mettere in relazione l’insieme di questa polemica con la vicenda che si verificò nel 1779, quando un uomo chiamato Antonio Venini rivolse una supplica, ovvero inviò una richiesta scritta, all’imperatore austriaco, da cui dipendeva la Lombardia.

   Prima pagina della “Supplica” del Venini, conservata all’Archivio Golgi-redaelli

 

Antonio Venini fu l’inventore dell’attività di sbianca delle tele nell’attuale zona di Città Studi. Si trattava di un’attività particolarmente complessa, perché all’epoca non era facile rendere bianche le tele. Il documento fa menzione dei riconoscimenti pubblici dell’attività: Venini ricevette non solo una gratificazione di 8000 lire dalla Sovrana Magnificenza, ma anche esenzioni civiche per un periodo determinato stabilito dalla Congregazione di Patrimonio.

«Sono già noti a codesta M.ma Deputazione li vantaggi che il fu negoziante Antonio Venino ha portato al Reale erario e allo Stato mediante la nuova sbianca all’uso di Varallo delle tele di Germania dal medesimo felicemente eretta nell’anno 1776 alla Cascina Cigala nei Corpi Santi». E più avanti si fa riferimento anche al prestigio e al successo internazionale raggiunto da Venini: «Dopo un corso di venti sei Anni che la detta Sbianca ga gioito dell’aggradimento universale presso gli esteri negozianti che smercino tele…». Segue quindi un’interessante precisazione sul carattere avanzato dal punto di vista tecnico della procedura, nonché dei macchinari, che andrebbero perduti in caso di chiusura perché intrasportabili. E si precisa, subito dopo, il danno che la cessazione dell’attività rappresenterebbe per il bene pubblico: «Persuaso quindi […] dell’Impegno e Zelo che nutre codesta mass.ma Deputazione per far fiorire la mano d’opera nazionale tanto a vantaggio della Patria, quanto del Reale Erario…».

La finalità del documento in esame era però un’altra. Con tale “supplica”, scritta a mano, Venini si appellava alla Sovrana al fine di evitare il trasferimento dell’attività. Le ragioni di questo provvedimento erano di tipo esclusivamente personale, legate alla residenza del re. L’importanza del documento è che intende contrastare queste motivazioni, possibili solo in ragione del potere assoluto di cui godeva il sovrano, con argomentazione di carattere economico, di ben maggiore spessore ee, soprattutto, che si richiamavano ai vantaggi per tutta la comunità dell’attività che si voleva chiudere.

 

Sono questi contenuti che ci hanno fatto ritenere possibile un confronto, sicuramente azzardato, con le polemiche attuali che riguardano il trasferimento di Città Studi. Chi vi si oppone, fa riferimento proprio a quanto il quartiere rischierebbe di perdere dal punto di vista economico e quanto le attività che ora vi si svolgono siano di vantaggio per l’intera comunità cittadina.

 

Ma date le epoche diverse in cui i due eventi hanno luogo, vi sono evidentemente alcune grandi differenze, che sarebbe ingenuo non rilevare.

Nel caso più recente, quello di Città Studi, i toni usati sono ben diversi dalla supplica settecentesca; sono decisamente più accesi e più polemici. L’obbiettivo è quello di far sentire la propria voce, di lottare a denti stretti contro un’iniziativa presa senza nemmeno considerare l’opinione dei cittadini. Le autorità sono considerate rappresentanti dell’opinione pubblico e, di conseguenza, chi ritiene di esporne le ragioni, con un tono chiaramente di protesta intende richiamare il personale politico alle sue più autentiche funzioni. Da qui la lotta contro il trasferimento dell’area e l’organizzazione di grandi gruppi di protesta. I manifestanti hanno un obbiettivo chiaro, quello di ottenere ciò che vogliono insistendo e senza demordere.

 

foto da http://milano.repubblica.it/cronaca/2017/11/08/news/citta_studi_sala_statale_expo-180593511/

 

La richiesta nel Venini è invece più personale. I toni utilizzati sono nettamente più cauti e cortesi, dovuti al diverso approccio con il destinatario (il sovrano) verso il quale si potevano usare solo i toni della “supplica”, appunto. «Umilmente supplicandola volersi degnare di accordargli a livello per tre Età la della Possessione Cigala in stima di Merito avuto riguardo al cattivissimo Stato in cui ritruovasi il Caseggiato sopra la medesima». Ci si attende un atto di benevolenza, e si fa appello alla ricchezza e al prestigio che ne deriverebbero per il suo regno.

In entrambi i casi emerge comunque un malcontento cittadino causato da decisioni prese solo ed esclusivamente da chi detiene il potere.

Tramite il confronto di queste fonti abbiamo potuto constatare come il governo si possa scontrare con proteste cittadine scatenate dal carattere non trasparente dei sistemi decisionali.

In tutti e due i documenti ritroviamo il tema della consapevolezza della caratteristiche del proprio territorio, utilizzate come un bene primario alla società. Il fine di ambedue le situazioni ha in vista il bene della città di Milano e del suo funzionamento politico ed economico; questi aspetti devono prevalere sulle motivazioni personali, sia pure di un sovrano..

 

 

Fonti: https://chenesaradicittastudi.wordpress.com/2017/06/07/manifesto-per-citta-studi/

https://chenesaradicittastudi.wordpress.com/2017/06/06/perche-siamo-contrari-al-trasferimento-volume-2/

file:///C:/Users/ely03/AppData/Local/Packages/microsoft.windowscommunicationsapps_8wekyb3d8bbwe/LocalState/Files/S0/88/alleg-Supplica-Venino_1779_apr-magg_carteggi-govern[223].pdf

 

Elisa Caprioglio, Filippo Carnago, Linda Iris Posani

 

 

QUARTA PARTE

IL FUTURO DI CITTÀ STUDI

Erica, Mina, Tommaso 4LB

Città Studi è un quartiere di Milano, nella zona nord-orientale della città, che si è sviluppato nel corso degli anni a cavallo tra fine ‘800 e inizio ‘900, come abbiamo visto nelle precedenti parti di questo lavoro.

Il nome in origine indicava solo la zona occupata dagli edifici del Politecnico di Milano, situato in Piazza Leonardo da Vinci, e le cinque facoltà scientifiche dell’Università degli Studi di Milano; in seguito venne esteso al quartiere che pian piano vi sorse, conseguentemente al crescere della città.

Oggi, il quartiere definibile Città Studi è compreso nel Municipio 3, tra la circonvallazione esterna, piazzale Piola, la stazione Lambrate, la ferrovia e viale Argonne.

Nel quartiere sorgono il Politecnico (sede Milano-Leonardo) e le facoltà scientifiche dell’Università Statale, oltre a varie cliniche private e pubbliche tra cui l’Istituto nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori e l’Istituto Nazionale Neurologico Carlo Besta. È sede di numerose scuole elementari, medie e   superiori.

 

 

Una polemica oggi molto accesa è quella che tratta lo spostamento del quartiere Città Studi nella zona di Rho, più precisamente nell’ex area Expo. Esattamente come hanno esposto i cambiamenti avvenuti nel quartiere nel corso di un secolo, noi vi mostreremo i possibili cambiamenti che verranno apportati di nuovo al quartiere, in caso di un eventuale spostamento.

Poco prima dell’inizio dell’estate è arrivato il Doppio sì del Senato accademico e del Consiglio di Amministrazione. Solo 7 i voti contrari. Per il sì definitivo bisognerà aspettare la fine dell’estate.

Lo scopo principale del progetto sarebbe quello  di rinnovare laboratori destinati alla ricerca scientifica , costruire impianti sportivi, residenze e servizi che possano mantenere alta la qualità dello studio e rendere la zona destinata al trasferimento un’area in cui si possa sviluppare un futuro quartiere abitativo.

Nonostante questi positivi propositi e le assicurazioni da parte delle autorità, una parte non irrilevante dell’opinione pubblica (e degli abitanti del quartiere) hanno avanzato dei dubbi in merito alla validità di tale decisione. Soprattutto in considerazione del fatto che –a loro dire- il trasferimento, sarebbe più costoso rispetto al rinnovare gli spazi all’interno di Città Studi stessa. Per alcuni di loro, le autorità comunali sarebbero maggiormente interessate a individuare  una nuova destinazione per l’ex area EXPO, altrimenti destinata all’abbandono. Il rettore della Statale Gianluca Vago si è subito dimostrato entusiasta del progetto, riferendosi a esso come un ‘opportunità irripetibile’ in un intervista al “Corriere della sera” il 29 marzo 2017. Non è che si può inserire qualche dichiarazione virgolettata? Il progetto in questione consiste nel creare un nuovo polo tecnologico-universitario nel sito di Rho. Ovviamente questo dislocamento sta sollevando diverse perplessità.

Primo fra tutti il problema economico, sia su piccola che su grande scala.

Per chi frequenta i corsi nelle sedi di Città Studi, lo spostamento comporta un costo significativamente più elevato, in quanto Rho si trovi in una zona interurbana ( tradotto: 360 euro annui in più di abbonamento). Per quanto concerne le spese dell’impresa, come budget per l’operazione ci sono 330-380 milioni. La Statale coprirebbe poco più di 130 milioni di euro, mentre altri 100-150 milioni competerebbero a Roma e gli ultimi 100 dovrebbero arrivare dalla dismissione degli edifici finora occupati intorno a piazza Leonardo da Vinci, storici e costosi da mantenere.

Oltre al fattore economico, bisogna tenere in conto un notevole allungamento dei tempi di raggiungimento della nuova sede. In poche parole, il nuovo polo sarebbe, per la maggior parte degli studenti, molto più difficile da raggiungere con i mezzi rispetto a Lambrate, sia per chi viene dalla città che dalla periferia; insieme allo spostamento dell’università sarebbe opportuno pianificare una riorganizzazione dell’intero sistema ferroviario milanese, che però –così affermano i critici della proposta- oggi non è in programma.

Inoltre, dato che la nuova sede sarebbe scomoda da raggiungere, gli studenti futuri potrebbero scegliere di iscriversi ad altre università, come ad esempio la Bicocca, che offrono le stesse facoltà e sono più facilmente raggiungibili; ciò comporterebbe quindi un calo nel numero di iscrizioni, dovute anche al fatto che altre università dispongono di strutture più giovani e all’avanguardia.

Dal Corriere della Sera, 2 giugno 2017:

«In risposta al trasferimento, non sono mancate le proteste da parte di studenti  e professori che definiscono lo spostamento ““sbagliato perché smantella di funzioni un quartiere vivo e interno alla città a favore di un sito a Rho isolato ed esterno per il solo bisogno di colmare il vuoto di interesse sui terreni Expo». Andrea Painini, alla testa dell’associazione di commercianti, spiega: «La scelta di spostarsi è scellerata, il quartiere ci ha messo molto tempo per svilupparsi intorno alla comunità studentesca ed eventuali piani di compensazione ipotizzati finora sono incerti e non sostenibili, anche tenuto conto dell’ipotesi di trasferimento dell’Istituto dei tumori e Besta». A preoccupare, spiega Paolo Stellari, professore di Geometria, è «il significativo ridimensionamento degli spazi (da 250 mila metri quadrati occupati a Città studi oggi, a 150 mila a Rho domani) e l’incertezza degli investimenti messi in campo a fronte di una possibile contrazione dei ricavi dalla vendita degli immobili patrimonio della Statale».”

Insomma, secondo queste considerazioni, molti dei soggetti interessati al trasferimento delle sedi non farebbero tanto l’interesse del quartiere, ma rappresenterebbero altre esigenze, ad esso estranee. Al di là però di tutto ciò, la vera domanda è: che ne sarà di tutta l’area una volta che la Statale se ne sarà andata a Rho?

Non ci sono ancora progetti precisi, ma a trasferirsi sarà almeno il 40% delle strutture che oggi fanno parte del complesso. La zona tra Lambrate, Piola e viale Argonne, secondo alcuni, rischierebbe di trasformarsi in un quartiere fantasma, il che è preoccupante, se si pensa che col tempo questa porzione di città è diventata un luogo dove passeggiare, riposare sotto gli alberi, con aiuole, panchine, studenti, che sono forse la risorsa più importante per l’economia della zona: vanno nelle librerie, si trovano al bar, insomma fanno andare avanti un quartiere che è strutturato per accogliere lo studente.

Una cosa che ci ha stupito nella nostra ricerca in rete è constatare come la maggior parte degli studenti, alla domanda “cosa ne pensi del possibile trasferimento di città studi?”  sembrano essere all’oscuro di tutto. Il sito spomilano.noblogs.org gestito da studenti milanesi afferma: «Speculare sugli studenti sembra essere diventato lo sport per eccellenza: i soldi per coprire il buco di bilancio lasciato da Expo ci sono e si trovano, soldi per il diritto allo studio però non ce ne sono. Infatti Regione Lombardia s’impegna a stanziare circa 130 milioni per il progetto di trasferimento ad Expo, ma parallelamente taglia i fondi regionali per il diritto allo studio di circa 4.6 milioni! Qui la questione è che continuano a privare i cittadini del diritto a poter studiare, che è diventato a tutti gli effetti un servizio: chi paga ne usufruisce, chi non se lo può permettere ne resta escluso.»

Di fronte a una polemica così vasta, che vedrebbe ancora una volta cambiare la destinazione d’uso del quartiere in cui è situata la nostra scuola, abbiamo ritenuto necessario, a conclusione del nostro percorso, sentire di persona alcuni esperti coinvolti, in merito ai dubbi che abbiamo espresso in quest’articolo.